I dazi Usa al 15% avranno un impatto sulla Toscana ancora da definire con chiarezza, ma le prime stime indicano che potrà incidere negativamente sul Pil regionale per centinaia di milioni. Se secondo l’Irpet il prodotto interno lordo toscano a fine 2025 potrebbe calare di 320 milioni di euro – correggendo con una proporzione lineare le primissime stime di aprile (420 milioni) calcolate sulle tariffe al 20% minacciate allora dal presidente Usa Donald Trump – oggi Svimez paventa una riduzione superiore al miliardo di euro, con un calo del 13% dell’export e la perdita di oltre 17mila unità di lavoro.
Nel confronto con la performance del resto del paese con i nuovi dazi Usa, la perdita di Pil della Toscana sarebbe superiore alla media italiana e del centro-nord (-0,3%), mentre la perdita percentuale dell’export sarebbe sostanzialmente in linea (14%). Decisiva, in questo quadro, è l’inclusione della farmaceutica nei beni soggetti alla nuova tariffa del 15%, che assorbe i dazi preesistenti: secondo Svimez, senza quel comparto il conto per la Toscana sarebbe stato un po’ meno salato, con 729 milioni di Pil e 12.182 unità di lavoro in meno. Così, invece, gli effetti saranno negativi per la farmaceutica, ma pesanti anche per settori come moda, chimica e automotive.
L’incognita dell’effetto indiretto sull’economia
“Noi abbiamo aumentato il prezzo del 10% e del 20% nel fare le simulazioni, e abbiamo mantenuto i costi di produzione fermi”, spiega Leonardo Ghezzi, ricercatore dell’Irpet che ha lavorato alle prime stime dell’istituto. “Quello che invece succede nel momento in cui si introducono dei dazi – sostiene – è un effetto di propagazione dell’aumento dei costi. Se gli Stati Uniti importano prodotti dalla Germania, saranno costretti a pagare una quota in più perché ci sono i dazi, magari non il 15%, magari il 7%, l’8%, perché una parte dell’aumento del prezzo se lo accolleranno le imprese con una riduzione dei margini. Se poi gli Usa utilizzano quei beni per produrre altri beni intermedi, ad esempio dei microchip che poi noi in Italia compriamo, ovviamente li venderanno a un prezzo più elevato perché a loro il processo produttivo è costato di più. Acquisteremo dei beni che per noi sono beni intermedi, che magari fanno parte della nostra meccanica o del nostro tessile, e noi li pagheremo di più. Questo è l’effetto indiretto, che dipende dalle interazioni che ci sono lungo le filiere produttive”.
Quindi, sottolinea Ghezzi, “è evidente che per stimare pienamente l’effetto dei tassi bisogna tenere in considerazione anche questi effetti, il che genererà sicuramente un impatto anche più ampio di quello che noi abbiamo stimato, perché quello che noi abbiamo stimato è solo l’effetto diretto immediato. Poi, se per esempio la Germania esporterà meno negli Stati Uniti per colpa dei dazi, comprerà anche meno semilavorati, meno input intermedi da noi, quindi noi subiremo un effetto indiretto anche per quest’altro canale. Quindi il danno che si genera è anche più ampio dei numeri che noi abbiamo dato, perché quei numeri riguardano solo gli effetti diretti: però noi ancora queste stime non le abbiamo fatte. I numeri che noi abbiamo dato sono quelli che siamo riusciti a stimare nell’immediato, e nell’immediato era possibile stimare l’effetto diretto”.
Confindustria Toscana Nord chiede sostegni alle imprese
Il 15% per i dazi Usa “non è una vittoria perché il danno rimane, e anche pesante”, afferma la presidente di Confindustria Toscana Nord, Fabia Romagnoli, secondo cui “è ora indispensabile che venga fatto ogni sforzo per porre le aziende in condizione di competere sui mercati internazionali”, con “sostegni diretti ma anche un profondo ripensamento delle politiche europee e nazionali che creino condizioni di contesto favorevoli alle imprese. Non ci possiamo permettere, ora più che mai, indirizzi economici che creino appesantimenti e zavorre”. L’export dell’area Lucca-Pistoia-Prato verso gli Usa sfiora gli 800 milioni di euro annui, in progressiva crescita: il mercato statunitense rappresenta il 7,6% del totale dell’export delle tre province.
“Quando si parla di dazi, ovviamente sono sempre motivo di preoccupazione”, ha osservato Paolo Noccioni, presidente di Nuovo Pignone-Baker Hughes, sottolineando che “conviene valutare bene i dettagli prima di esprimere un giudizio definitivo”. I prodotti dell’azienda, ha rimarcato, “sono importanti e cruciali per il mercato dell’energia negli Stati Uniti. Il gas naturale liquefatto che è uno dei prodotti che gli Stati Uniti esportano è in gran parte, nella pratica, anche il risultato dei prodotti che noi facciamo qui in Italia. Si parla anche di data center negli Stati Uniti, e anche i data center hanno bisogno delle nostre macchine, le tecnologie che noi abbiamo sviluppato in Italia sono tecnologie importanti, e non è che si ritrovino in tutte le parti del mondo”.
Leonardo Testai