Parlare di “prodotto tipico”, intendendo un alimento legato a un determinato territorio e frutto della tradizione, storia e cultura di quella zona geografica, oggi è quasi scontato. Non lo era all’inizio degli anni Novanta, quando in Europa cominciò a farsi largo l’idea di tutelare i prodotti a “indicazione geografica” e nacquero così – era il 1992 – le Igp (indicazioni geografiche protette) e le Dop (denominazioni di origine protetta).
Quasi 900 prodotti Dop e Igp in Italia
Oggi la cosiddetta “Dop economy” è un settore consolidato in Italia, formato da 897 prodotti (cibo, vini e spirits) e 183mila operatori, e parte del merito va alla Fondazione Qualivita di Siena, che da 25 anni valorizza i prodotti agroalimentari e vitivinicoli di qualità italiani, e che il 5 dicembre ha celebrato proprio a Siena il quarto di secolo in occasione del settimo Forum europeo sulla qualità alimentare, al quale hanno partecipato il ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, il commissario europeo all’Agricoltura, Christophe Hansen, l’ex commissario europeo Franz Fischler, l’ex ministro e grande esperto di agricoltura Paolo De Castro, oltre ai rappresentanti delle associazioni che riuniscono i consorzi di tutela.
I prodotti tipici valgono (alla produzione) più di 20 miliardi di euro
Secondo l’ultimo rapporto Ismea-Qualivita, nel 2024 in Italia il valore alla produzione di cibi e vini Dop, Igt e Sgt ha raggiunto 20,7 miliardi di euro (+3,5%), trainato dall’export che ha toccato 12,3 miliardi (+8,2%). A livello europeo questi valori quadruplicano, grazie soprattutto a Francia, Spagna e Portogallo. Ma non tutti i prodotti Dop e Igp hanno la forza per penetrare sui mercati internazionali (come invece hanno il Grana Padano, il Parmigiano Reggiano, il Prosciutto di Parma, la Mozzarella di bufala campana, il Gorgonzola, il Prosciutto San Daniele, il Prosecco, che sono i primi in graduatoria), per alimentare il turismo, per dare ricchezza ai territori d’origine: ecco perché – è emerso dal Forum – c’è ancora strada da fare per la promozione, la diffusione della conoscenza nei consumatori, la creazione di valore aggiunto, la tutela fuori dai confini europei e la difesa dagli attacchi Usa che considerano le indicazioni geografiche una forma di protezionismo. Anche in Toscana, dove nessun prodotto tipico alimentare risulta tra i primi 15 per valore della produzione, mentre sul fronte dei vini entrano in graduatoria il Chianti Classico e il Chianti.
Il ‘libro verde’ sul futuro delle Indicazioni geografiche
Per questo Mauro Rosati, direttore della Fondazione Qualivita, ha presentato al commissario Hansen un “libro verde” che contiene una serie di azioni considerate necessarie per dare un futuro ai prodotti tipici: si va dagli accordi commerciali che devono proteggere le indicazioni geografiche, all’integrazione degli immigrati (1 lavoratore su 4 in agricoltura è immigrato); dalla misurazione della qualità per essere più trasparenti, all’attrazione di giovani nel mondo agricolo (solo 1 agricoltore su 12 in Europa è sotto i 40 anni); fino all’incentivazione del turismo legato a Dop e Igp. “Abbiamo presentato al commissario un cassetto degli attrezzi che prende spunto dalle istanze della ricerca fatta in questi anni”, ha detto Rosati.
Nel 2027 un piano d’azione per le Indicazioni geografiche
Gli ha risposto il commissario Hansen: “La Commissione ha intenzione di adottare un piano d’azione per le indicazioni geografiche nel 2027, e vorrei chiedervi di iniziare a contribuire con le vostre idee”, ha detto. Dal ministro Lollobrigida è venuto l’invito ai consorzi di tutela delle indicazioni geografiche (in Italia ce ne sono 328) di associarsi “per essere più efficaci sui mercati internazionali, pur mantenendo le differenze”. “Servono controlli sempre più stringenti per evitare contraffazioni – ha detto il ministro – e servono economie per aiutare chi non si regge da solo”.
Silvia Pieraccini