La filiera della moda in Toscana fatica a uscire dalla sua fase di crisi strutturale, con un indebolimento marcato della manifattura regionale ma anche con alcuni segnali di riassestamento che arrivano dall’export, in particolare per abbigliamento, maglieria e calzature. Le analisi di Irpet e della Filctem-Cgil rivelano che nel giro di sei trimestri il settore ha perso oltre un quinto del fatturato legato alle vendite estere, mentre crescono in modo esponenziale cassa integrazione e contratti di solidarietà, soprattutto nelle lavorazioni di pelle, cuoio e calzature.
La crisi della moda si dipana in un contesto economico nel quale la Toscana sconta una dinamica della sua manifattura più debole rispetto alle altre grandi regioni manifatturiere: secondo una nota congiunturale dell’Irpet, dopo il -3,2% del primo trimestre 2025 nel secondo trimestre la produzione industriale regionale registra una variazione tendenziale del -1,8%, a fronte di un calo nazionale più contenuto (-0,5%) e di flessioni comunque meno pronunciate in Piemonte, Lombardia, Veneto ed Emilia‑Romagna. In linea generale, tra gennaio e luglio 2025 le nuove posizioni di lavoro dipendente restano in crescita, ma con un saldo occupazionale positivo che si attenua, da circa 71mila del 2024 a circa 67mila nel 2025 (-5,2%). Gli avviamenti per l’industria risultano in calo del -3,2%, mentre il numero medio di dipendenti rimane nel complesso stabile rispetto ai primi sette mesi 2024 ma con una forte eterogeneità tra settori.
Un pilastro ancora sotto stress
La moda resta uno dei pilastri dell’industria toscana, con oltre 110mila addetti e quasi il 40% dell’occupazione manifatturiera regionale. Proprio qui però si concentra la parte più fragile del sistema: secondo le elaborazioni Irpet, il gruppo dei settori in calo (28% degli addetti industriali) è dominato dalle lavorazioni della moda – tessile, pelletteria, calzature, concia e metallurgia collegata agli accessori – che tra gennaio e luglio 2025 perdono quasi 3.800 dipendenti (-4,3%), a fronte di un’industria complessiva sostanzialmente stazionaria.
A metà 2025 la fotografia per comparti è fortemente eterogenea: l’abbigliamento guadagna addetti (+1,3%) mentre tessile (-2,3%), concia (-3,2%), pelletteria (-4,9%) e calzature (-6,3%) riducono gli organici. Nel complesso, nel periodo gennaio-luglio 2025 gli avviamenti nel comparto moda in Toscana sono stati 23.741, praticamente sugli stessi livelli dell’analogo periodo 2024 (23.728): al trend positivo di abbigliamento (+5,2%, da 11.708 a 12.312) e concia (+10,1%, da 1.553 a 1.710), si contrappongono le flessioni di tessile (-5,3%), nella pelletteria (-10,6%) e in misura più lieve nelle calzature (-1,2%).
Esplode la cassa integrazione straordinaria
Tutto questo avviene in un mercato del lavoro regionale che continua a crescere, ma a ritmi via via più contenuti: a luglio 2025 gli addetti dipendenti aumentano del 1,7% su base annua, in netta decelerazione rispetto al 3,1% di inizio 2024. E nei primi nove mesi dell’anno in corso le ore di cassa integrazione straordinaria quasi triplicano rispetto al 2024, salendo da circa 5,6 a 13,8 milioni, mentre diminuisce la Cig ordinaria. In questa dinamica la moda si distingue, e non in senso positivo.
Oltre la metà dell’aumento di straordinaria (4,6 milioni di ore, pari al 57%) è infatti imputabile ai settori pelle, cuoio e calzature, che rappresentano solo il 14% degli addetti manifatturieri, segno di una intensità di utilizzo degli ammortizzatori molto più elevata rispetto al resto dell’industria. La Cgil parla di “numeri drammatici”: secondo il sindacato, tra i circa 6mila licenziamenti economici registrati nella manifattura nel 2024, 4mila arrivano dalla filiera moda, mentre le ore di cassa autorizzate in tessile, pelli, cuoio e calzature passano da 2,3 milioni nel 2023 a 7,3 milioni nel 2024 e a oltre 10,4 milioni nei primi nove mesi del 2025.
Distretti e comparti: ombre e prime schiarite
Guardando all’ultimo anno e mezzo, Cgil e Filctem stimano per la moda toscana una caduta di oltre il 22% del fatturato export nel periodo che copre gli ultimi sei trimestri tra 2024 e 2025, con un impatto doppio rispetto ad altri comparti manifatturieri in difficoltà. Nello stesso arco temporale le imprese del settore affrontano un forte calo degli ordinativi, una riduzione della capacità produttiva e una crescente dipendenza dagli ammortizzatori sociali, con un aumento dei casi di licenziamento e di chiusura d’impresa lungo tutta la filiera regionale.
Tuttavia nell’anno in corso è stato possibile osservare anche dei positivi segnali di vita: Irpet ricorda che nel secondo trimestre 2025 le vendite estere a prezzi correnti di abbigliamento (+7%), maglieria (+4,1%) e calzature (+15,1%) tornano positive, mentre il cuoio-pelletteria limita le perdite al -4,3% dopo una serie di trimestri con flessioni oltre il 15%. Irpet sottolinea che questo recupero è legato in misura significativa alle “grandi firme fiorentine”, che compensano solo in parte le difficoltà delle produzioni più diffuse e meno strutturate lungo le catene di subfornitura.
Le leve di politica industriale invocate
La Filctem-Cgil torna a chiedere dunque un intervento coordinato di Governo e Regione per evitare che la transizione in corso si traduca in una perdita irreversibile di capacità produttiva. Alla Regione Toscana, in particolare, viene chiesto di riattivare con urgenza il tavolo della moda, rafforzando il monitoraggio con il coinvolgimento diretto dei grandi brand, per costruire una governance di filiera capace di fare da cerniera tra committenza globale, distretti locali e qualità del lavoro.
“Non possiamo più aspettare”, dichiarano Fabio Berni della Cgil Toscana e Pina Angela De Vincenti e Loris Mainardi, che per la Filctem Toscana seguono il settore della moda. “Serve urgentemente un modello industriale – spiegano – che metta al centro il lavoro qualificato ed equamente retribuito, la presenza territoriale delle produzioni e che affronti i fattori critici, sempre più determinanti per lo sviluppo industriale: digitalizzazione, innovazione tecnologica, formazione, crescita della dimensione aziendale anche attraverso processi di aggregazione, sviluppo di sistemi di servizi capaci di favorire lo sviluppo di un’efficiente economia circolare e di mobilitare ingenti investimenti sul territorio”.
Anche la Uil Toscana chiede alla Regione una svolta sulla manifattura, in senso più ampio. “Crediamo che i soli settori della farmaceutica e della nautica non siano sufficienti a trainare l’economia regionale ed invertire un Pil asfittico che si aggira su percentuali da prefisso telefonico”, sottolinea Paolo Fantappiè, leader regionale del sindacato, dicendosi convinto che “si debba sviluppare lavoro di qualità gestito da società ben strutturate”, per cui auspica “un incontro alle istituzioni regionali insieme alle rappresentanze datoriali per fare il punto sulla situazione attuale e programmare le prospettive per un futuro positivo e di prosperità, con investimenti pubblici mirati alle attività a forte contenuto innovativo”.
Leonardo Testai