Al 2023 gli stranieri occupati in Toscana sono 194mila (12% degli occupati e 15% dei lavoratori dipendenti), e dal 2008 gli occupati stranieri sono cresciuti di 47mila unità (+2,7%), a fronte di una flessione di 6mila lavoratori italiani. Sono questi alcuni dei dati emersi nel corso della presentazione del Rapporto 2024 sull’immigrazione in Toscana, redatto da un gruppo coordinato dall’Osservatorio sociale regionale. Secondo l’analisi dai ricercatori fra quindici anni, se la domanda di lavoro e le dinamiche demografiche rimanessero uguali a quelle attuali, l’offerta di lavoro residente riuscirebbe a soddisfare solo l’83% dei fabbisogni lavorativi delle imprese. Per colmare il calo demografico della popolazione in età da lavoro, quindi, la Toscana avrà bisogno di almeno 355mila lavoratori stranieri.
Più occupati nei settori a bassa qualifica
Oggi persiste la forbice fra stranieri e italiani nella disoccupazione, tra gli uomini (8% vs 4%) ma soprattutto tra le donne (15% vs 5%). Le immigrate hanno un tasso di inattività particolarmente alto (35% al netto delle studentesse, contro il 22% delle italiane), ancora più elevato tra le provenienti dall’Africa e dal Medio Oriente. L’occupazione straniera, spiega l’Osservatorio, “è fortemente caratterizzata dalla concentrazione in un numero ristretto di settori di attività, dove la presenza italiana è ridotta, caratterizzati da bassi salari e dove è più alto il rischio di rimanere intrappolati in occupazioni a bassa qualifica, a carattere discontinuo e orari ridotti”.
Le imprese a conduzione straniera nel 2023 sono 57mila e rappresentano il 17% delle imprese in Toscana. Il part-time involontario è molto più frequente tra gli immigrati: il 20% dei dipendenti stranieri dichiara di lavorare a orario ridotto non per propria scelta, contro il 9% degli italiani, il 32% tra le immigrate. Lo svantaggio degli stranieri nel mercato del lavoro si riflette in più bassi redditi da lavoro: nel 2023 un lavoratore straniero percepisce un reddito annuo lordo da lavoro più basso del 33% di quello di un lavoratore italiano. Nelle famiglie di stranieri è maggiore, rispetto a quelle di italiani, l’incidenza della condizione di grave deprivazione materiale e sociale (7,5% vs 2,1%) e del rischio di povertà (26,3% vs 7,7%).
I comparti più esposti sono quelli con alta intensità di lavoro, mansioni a bassa qualifica, elevata flessibilità, modesti investimenti tecnologici, forti picchi stagionali, filiere produttive squilibrate a vantaggio della grande distribuzione. I cittadini stranieri rappresentano una quota rilevante della manodopera impiegata, spesso in condizioni di particolare vulnerabilità a causa della necessità di mantenere il permesso di soggiorno e del limitato accesso a tutele contrattuali. (lt)