La vendemmiatrice raccoglie le olive nell'azienda agricola Marini Giuseppe di Pistoia che ha quattro ettari di oliveti intensivi
Potrebbe esserci un modo per tamponare la contrazione di olivi che ormai da anni sta affliggendo la Toscana, causata prima di tutto dalla scarsa redditività delle coltivazioni. Gli alti costi di gestione (potatura e, soprattutto, raccolta) hanno portato all’abbandono di circa quattro milioni di piante sulle 15 milioni esistenti nella regione (per il 90% delle varietà Frantoio, Leccino, Moraiolo, Maurino, Pendolino e Olivastra Seggianese), alimentando i dubbi sul futuro del settore.
L’oliveto intensivo nato per caso
Dubbi che sono ancora maggiori per l’olio Igp Toscano, il più importante olio certificato in Italia, che ha bisogno di aumentare le quantità prodotte per farsi conoscere meglio e per conquistare nuovi mercati. “La soluzione è l’olivicoltura intensiva”, spiega Fabio Marini, olivicoltore pistoiese (azienda agricola Marini Giuseppe) che, quasi per caso, 15 anni fa avviò la coltivazione di olivi intensivi. Marini all’epoca faceva (solo) il vivaista, e una mattina trovò diverse piante di olivo mangiate da un cervo; lasciò quei vasi con le piante inutilizzabili nel campo, ammassati uno accanto all’altro, ma le piante di olivo non morirono, anzi.
Mille piante per ettaro e raccolta meccanizzata
Da qui l’idea di piantarle vicine vicine, come si fa con i filari di vigne (circa 1.000 piante per ettaro), e di potarle in modo da creare una parete fogliare che “entra” dentro la macchina vendemmiatrice: in sei minuti la macchina percorre 100 metri lineari scuotendo le piante e raccogliendo tutte le olive. I tempi si riducono così dell’80%: per raccogliere un ettaro ci vogliono al massimo tre ore. E la qualità dell’olio? “E’ addirittura migliore di quella che si ha con gli olivi tradizionali – spiega Marini – perché in questo caso le olive non vengono ammaccate durante la raccolta e l’arrivo al frantoio avviene in tempi rapidissimi”.
L’occasione per rifare l’assetto idraulico delle colline
Oggi Marini possiede quattro ettari di oliveti intensivi, dotati di irrigazione (“anche se l’acqua non è fondamentale”, dice), ed è convinto che questa possa essere la soluzione per ridare sostenibilità economica non solo ai terreni pianeggianti. “L’obiettivo futuro deve essere portare questa tecnologia sulle colline toscane, dove oggi gli olivi non danno reddito – dice Marini – servono solo terreni ampi, che non abbiano terrazzamenti e voglia di sperimentare. L’olivicoltura intensiva potrebbe essere l’occasione per rifare l’assetto idraulico e per rilanciare l’olivo”.
Varietà toscane (e non spagnole) per fare l’olio intensivo Igp Toscano
Marini è uno degli olivicoltori che produce olio Igp Toscano, da fare con varietà autoctone (nel disciplinare ne sono indicate una novantina) che spesso sono meno attaccabili da malattie rispetto alle cultivar straniere. Queste stesse varietà, secondo Marini, dovrebbero essere utilizzate anche per gli oliveti intensivi, proprio per rispettare la tradizione, preservare la pianta e poter certificare l’olio toscano. Sulla stessa linea è la Regione Toscana: “All’olivicoltura serve innovazione – dice il dirigente regionale Gennaro Giliberti – per tornare a dare reddito. Dobbiamo sperimentare, e l’olivicoltura intensiva, fatta con varietà toscane e non spagnole, può essere una soluzione”. “No” dunque a cultivar straniere che, sottolinea la Regione, usano molta acqua e diserbano col glifosato. “Sì” alle varietà previste dal disciplinare che si possono adattare alla meccanizzazione: la ricerca scientifica non ha fatto grandi passi avanti negli ultimi anni, ma ora la Toscana deve recuperare terreno.
Chi modifica il paesaggio?
A chi dice che gli olivi a filari modificano il paesaggio toscano, Marini e Giliberti rispondono: “Anche i filari di vigne che negli ultimi anni sono stati piantati in molte zone della Toscana dove prima non esistevano hanno modificato il paesaggio, ma non mi sembra che lo abbiano deturpato”.
Silvia Pieraccini