Una casa-vacanza in affitto sul portale Airbnb
Con l’approvazione definitiva della manovra di bilancio 2023 – oggi, 29 dicembre 2022 al Senato con 109 voti a favore, 76 contrari e un astenuto – entra in vigore una modifica legislativa che tocca da vicino le città turistiche, insieme col recepimento di una direttiva europea che sarà operativa dal 1 gennaio.
La prima novità (frutto di un emendamento presentato dal Pd) è la possibilità di aumentare la tassa di soggiorno fino a 10 euro a persona a notte in quei capoluoghi di provincia che hanno avuto presenze turistiche medie 20 volte superiori al numero dei residenti nel triennio precedente (per gli aumenti del 2023-2025 si dovrà far riferimento ai pernottamenti del 2017-2019). I dati da considerare per calcolare le presenze turistiche medie sono quelli Istat.
Firenze e Pisa possono aumentare la tassa di soggiorno
Secondo l’Anci (l’associazione dei Comuni) questa previsione di aumento fino a 10 euro a notte interesserà solo cinque Comuni italiani: Venezia, Firenze, Rimini, Pisa e Verbania (Roma Capitale ha già un tributo speciale con un limite massimo doppio rispetto agli altri Comuni). Il gettito dovrà finanziare, come sempre, interventi a sostegno del turismo o dei servizi pubblici locali.
Firenze, secondo quanto dichiarato dal sindaco Dario Nardella, guarda con favore a questa possibilità per incrementare gli introiti (pari a circa 50 milioni nel 2022: negli hotel 5 stelle oggi si paga cinque euro a notte, nei 4 stelle si paga 4,90 euro, negli Airbnb quattro euro). L’ipotesi è di di portare la tassa dei 5 stelle almeno a 7-8 euro a notte, operazione che non piace per niente agli albergatori. Pisa invece non sembra intenzionato ad aumentare la tassa di soggiorno, che oggi è di due euro negli hotel 4 e 5 stelle e di 1,5 euro a notte nelle case-vacanza.
Dal 1 gennaio le piattaforme devono comunicare i redditi dei clienti-host
La seconda novità è legata agli affitti turistici brevi nelle case-vacanza. Una nuova direttiva europea (n. 2021/514) prevede, a partire dal 1 gennaio 2023, l’estensione delle norme sulla trasparenza fiscale alle piattaforme digitali, obbligando i gestori a comunicare all’Agenzia delle entrate i redditi percepiti dai clienti (i proprietari di immobili, i cosiddetti host). Le multinazionali del web – come Airbnb o Booking – dovrebbero diventare dunque una specie di collaboratori fiscali, così da contrastare l’evasione che in questo settore è forte. La norma vale anche per i soggetti non residenti, né costituiti né tantomeno gestiti in uno Stato membro, oppure che non dispongano di una stabile organizzazione e facilitino solo la locazione di immobili ubicati in uno Stato membro.
La Corte Ue dà via libera alla ritenuta alla fonte sugli affitti (ma Airbnb si oppone)
Ma sugli affitti-brevi sono appena arrivate anche tre decisioni della Corte di Giustizia dell’Unione europea che avranno effetti sulle piattaforme digitali (e su Airbnb che aveva proposto i ricorsi): per i giudici comunitari il diritto europeo è compatibile con l’obbligo di raccogliere informazioni e dati richiesto da uno Stato membro; è compatibile con l’applicazione della ritenuta d’imposta alla fonte prevista da un regime fiscale nazionale (come in Italia); mentre non è compatibile con l’obbligo di designare un rappresentante fiscale, obbligo che – secondo la Corte – costituisce una restrizione sproporzionata alla libera prestazione dei servizi.
Proprio facendo leva sul fatto di non avere un rappresentante fiscale in Italia, Airbnb ha già fatto sapere che non può svolgere il ruolo di sostituto d’imposta previsto dall’Italia, e dunque non può applicare la ritenuta alla fonte sui redditi percepiti dai propri host: “La Corte di giustizia dell’Unione Europea ha chiarito che l’obbligo di designare un rappresentante fiscale in Italia è in contrasto con il diritto europeo – afferma Airbnb – In attesa della decisione finale da parte del Consiglio di Stato, continueremo ad implementare la direttiva Ue in materia».
Silvia Pieraccini