Angelo Vaccaro, coordinatore dei commercialisti toscani
Le nuove normative sull’Irpef, nazionali e regionali, rischiano di creare confusione nei contribuenti, siano essi imprese o singoli cittadini. E’ in questa situazione che abbiamo ritenuto necessario cercare di far chiarezza sulla materia. Per farlo c’è bisogno di esperti. Per questo abbiamo intervistato Angelo Vaccaro, coordinatore regionale dei commercialisti toscani.
Con i provvedimenti legislativi di fine anno sono state introdotte significative modifiche in materia di tassazione per imprese e contribuenti in genere; quali sono gli effetti più importanti?
Affiancando la legge di bilancio per il 2024, il decreto legislativo n. 216/2023 dispone l’attuazione del primo modulo di riforma dell’Irpef ed altre misure in tema di imposte sui redditi. La modifica più importante appare quella relativa all’accorpamento di due scaglioni di imposta, riducendo i medesimi da quattro a tre: dal 2024 la tassazione avverrà con un’aliquota Irpef del 23% sino ad un reddito imponibile di euro 28mila, e qui sta la vera novità, mentre sull’eccedenza sino a euro 50mila continuerà ad essere applicata l’aliquota del 35%, così come per la parte eccedente euro 50mila sarà mantenuta la percentuale del 43%.
Si tratta di un riordino appartenente all’esigenza di semplificazione del sistema tributario che, tuttavia, non produce effetti rilevanti sotto il profilo dell’impatto sull’effettiva tassazione in capo ai contribuenti, considerato che potrà essere fruito solo da coloro con redditi sino a euro 28mila nella misura massima di euro 260 su base annua.
Pur apprezzando la minor tassazione in capo ai contribuenti meno abbienti, si rimane perplessi rispetto alle disposizioni di coordinamento poiché, a fronte del citato tentativo di riordino che riduce gli scaglioni d’imposta, si prevede che per il calcolo degli acconti relativi agli anni 2024 e 2025 occorre non tenere conto delle novità normative, aggravando le procedure di calcolo necessarie per consentire una corretta determinazione del debito fiscale; inoltre, per coloro che hanno redditi superiori a 50mila euro si prevede una nuova franchigia di 260 euro che va a diminuire l’ammontare complessivo delle detrazioni d’imposta oggi vigenti. Insomma, la vera semplificazione è un’altra cosa.
Anche nella nostra regione si assiste ad un’importante modifica normativa, con effetti negativi in capo ai contribuenti toscani: il governatore Eugenio Giani ha proposto ed ha ottenuto dal Consiglio regionale l’approvazione di un consistente aumento dell’addizionale regionale Irpef. Chi si impoverirà di più?
Prima di rispondere alla precisa domanda è opportuno rilevare che, ad un primo esame, l’intervento sul consistente aumento dell’addizionale regionale sia frutto di uno “scollamento” all’interno del sistema Paese. In altre parole, senza scendere in dinamiche più ampie e sicuramente da me poco conosciute, riterrei non realizzato l’auspicio di correre tutti nella stessa direzione. Si può sperare, come peraltro indicato dal governatore Giani, che l’aumento possa rimanere in vigore solo per il 2024, con una forte attenuazione negli anni a venire.
Rimane evidente che, pur nel rispetto dei contribuenti meno abbienti (fino a euro 28mila annui di reddito imponibile non vi è aumento di tassazione regionale), i contribuenti più colpiti saranno quelli con redditi superiori, che vedranno pressoché raddoppiate le aliquote (tra 28mila e 50mila euro si passa dall’1,68% al 3,32%, e sopra i 50mila l’aumento è dall’1,73% al 3,33%). Come detto, il criterio utilizzato nell’incremento di aliquote non ha colpito i contribuenti con redditi più bassi, e questo è socialmente equo e condivisibile.
Rimane il fatto che da alcuni anni a questa parte si assiste sempre di più ad un inasprimento della tassazione per il ceto medio, con effetti negativi non solo a carattere economico ma anche con risvolti di altra natura, che hanno a che fare con il favorire (o sfavorire) l’iniziativa individuale e collettiva verso attività professionali e imprenditoriali.
Sicuramente l’analisi in questa sede non può essere né accurata né può rivelarsi sufficientemente attendibile, tuttavia è significativo evidenziare che in Italia, secondo un recente rapporto presentato al CNEL, il 44% dei contribuenti si fa carico del 92 per cento del gettito annuo dell’Irpef, mentre la restante platea pari al 56% del totale contribuisce per il 7,38 per cento.
In particolare, i contribuenti con reddito fino a euro 7.500 lordi (23,75% dei contribuenti), hanno pagato 23 euro a testo, quale media nazionale. Nella fascia superiore di reddito (fino a 15mila euro, che costituisce il 18,84% del totale dei contribuenti) la media corrisposta a testa passa a euro 358 annui. Di conseguenza questi due primi scaglioni reddituali (ove si colloca il 42,59% dei contribuenti) hanno contribuito al gettito Irpef per circa 3 miliardi annui, pari all’1,73% del totale Irpef su base annua.
Raffrontando i dati che precedono con le risultanze dei contribuenti con redditi lordi tra 55mila e 100mila euro si ottiene che il 5,01% paga il 40,69 per cento dell’imposta e, ancora, considerando i titolari di redditi a partire da 35mila euro emerge che il 13,94 per cento dei contribuenti paga il 62,52 per cento di tutta l’Irpef, senza usufruire di alcun beneficio pubblico.
Quanto sopra necessiterebbe di ulteriori approfondimenti per ricavarne consapevoli riflessioni, rimane in ogni caso evidente come, anche in questa occasione, l’aggravio tributario sia stato riversato su una fascia di contribuenti che, presumibilmente, accoglie soggetti dedicati alla libera iniziativa economica, che a parer mio è sempre da incoraggiare.
Alla luce delle novità emerse, quale commercialista, è possibile consigliare, in particolare gli imprenditori, riguardo agli atteggiamenti da tenere e alle opportunità da cogliere?
La professione di imprenditore, a parer mio, è una tra le più complesse. Nelle sue molteplici attività il dominus aziendale deve essere preparato su più fronti: oltre alla focalizzazione sulla propria attività caratteristica, egli deve affrontare tematiche amministrative, giuridiche, commerciali, fino a spingersi, ampliando la propria visione, a “prevedere” scenari futuri e prepararsi quindi ai necessari cambiamenti. Il ruolo del commercialista ha sempre costituito e continuerà ad essere un supporto determinante nella pianificazione aziendale e nella sua gestione, non solo tributaria.
Mi sentirei di consigliare, pur nella consapevolezza di apparire generalista, di soppesare con buon senso e pragmatismo le novità ed i cambiamenti derivanti dalla normativa ricorrente, come è la legge di Bilancio annuale, prestando molta più attenzione e investendo tempo e risorse verso lo studio e l’analisi di fenomeni più ampi, alcuni anche strategici.
Mi riferisco alla necessità di implementare attività di ricerca e sviluppo, di adottare tempestivamente procedure e canoni in linea con le direttive ESG per rimanere inclusi in un circuito virtuoso che, potenzialmente, potrebbe essere meno accessibile tra pochi anni, di occuparsi dell’innovazione tecnologica ma al tempo stesso, per le aziende distinte da produzioni tradizionali, di affinare ed esaltare il processo produttivo ed il prodotto, affinché i propri beni si differenzino sul mercato, atteggiamento positivo sia per la singola azienda o filiera, sia per aggiungere valore a quanto già, in termini inestimabili, il nostro Paese riesce ad offrire.
Esistono agevolazioni e contributi, ancorché siano spesso presenti oneri e vincoli burocratici, che favoriscono le attività prima enunciate e che possono fornire importanti sostegni per la loro realizzazione.
Sarebbe più facile, tuttavia, se vi fosse un indirizzo univoco, una politica industriale non da “veduta corta”, investimenti potenti e realmente efficaci. Come detto in precedenza, occorre che tutti corrano, o anche camminino, nella stessa direzione.
Silvia Gigli