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10 dicembre 2025

La cucina italiana è patrimonio Unesco, la Toscana prova ad “approfittarne”

A parte il vino, ambasciatore nel mondo, gli alimenti Dop e Igp toscani sono tanti (32) ma fatturano poco (187 milioni nel 2024). Ecco come crescere.

Silvia Pieraccini
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Al di là delle congratulazioni di rito, arrivate (anche) da istituzioni e associazioni toscane, l’iscrizione della cucina italiana nella lista del patrimonio culturale dell’Umanità tutelato dall’Unesco rappresenta una sfida strategica di crescita e di miglioramento del settore, anche e soprattutto in Toscana.

I prodotti alimentari tipici sono poco conosciuti

I motivi di sviluppo sono tre. Il primo è che la Toscana ha bisogno di far conoscere più e meglio i prodotti – in gran parte di nicchia, a parte il vino – che provengono dal suo territorio. Per produzioni come la Cinta senese Dop, gli oli extravergine di oliva (dall’Igp Toscano alle Dop Chianti Classico, Lucca, Seggiano, Terre di Siena), il pane toscano, il pecorino toscano, il prosciutto toscano (tutti Dop), i ricciarelli di Siena e i cantucci toscani (entrambi Igp), la strada della promozione è ancora lunga.

Gli alimenti ‘tipici’ toscani sono 32 ma fatturano solo 187 milioni

In totale la Toscana conta oggi 32 prodotti con indicazione geografica (cioè Dop, Igp e Stg) nel settore cibo e 58 prodotti nel settore vino, più due spirits, ed è la prima regione in Italia, insieme col Veneto, per numero di indicazioni geografiche. Ma gran parte del valore prodotto è da attribuire al vino. Se guardiamo al comparto cibo a indicazione geografica, il 70% del valore della produzione italiana è concentrato in tre regioni, Emilia-Romagna (3,5 miliardi di euro), Lombardia (2,4 miliardi di euro) e Campania (846 milioni). La Toscana si piazza al nono posto in Italia con (solo) 187 milioni di euro di fatturato 2024 del cibo a indicazione geografica, una delle poche regioni che ha visto una flessione (-2,5%) l’anno scorso, secondo l’ultimo rapporto Ismea-Qualivita 2025.

Le imprese di trasformazione devono crescere (e allearsi con gli agricoltori)

Il secondo motivo di sviluppo è che l’agroalimentare toscano ha bisogno di una crescita dimensionale delle imprese di trasformazione per sfruttare in pieno le opportunità offerte dai mercati internazionali, come ha segnalato tempo fa uno studio di Prometeia. Qualche passo avanti è stato fatto negli ultimi anni, ma i rapporti tra produttori e trasformatori, e dunque le collaborazioni di filiera, sono ancora troppo scarsi.

I turisti devono essere “educati” al buon cibo

Il terzo motivo è che i turisti devono essere “educati” a mangiare meglio. “Proseguire nel percorso di promozione delle specificità toscane grazie a Vetrina Toscana“, commenta l’assessore regionale all’Agricoltura Leonardo Marras riferendosi al progetto promosso dalla Regione con Unioncamere che in 25 anni di vita ha creato una rete di ristoranti, botteghe e produttori locali che valorizzano prodotti e tradizione gastronomica del territorio, qualità delle produzioni, filiera corta. Il progetto oggi coinvolge 2.000 imprese, di cui 900 ristoranti dall’osteria al locale stellato. Ma se la Toscana può vantare il primato nel turismo enogastronomico, essendo la mèta preferita dei viaggi degli italiani che hanno come tema cibo, vino, olio, ora deve “sfruttarlo” meglio promuovendo i propri prodotti e la propria cucina.

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Silvia Pieraccini

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