La sfida della reindustrializzazione in tempi di crisi non è solo toscana, ma anche italiana ed europea: è la tesi che ha portato Marco Buti, Stefano Casini Benvenuti e Alessandro Petretto, gli economisti autori del Manifesto che ha riportato il tema all’attenzione generale, ad animare un nuovo convegno a Firenze, organizzato sempre dall’Istituto Universitario Europeo. Un modo per inquadrare la crisi toscana in un contesto più ampio, e trovare soluzioni che vadano oltre l’ambito regionale. Ma anche per mettere in guardia la Regione nel suo approccio alle crisi aziendali, anche con il nuovo strumento (nato dall’esperienza ex Gkn) dei consorzi.
La tesi della distruzione creatrice
A giudizio di Petretto è necessario riflettere in senso generale e complessivo sul fenomeno delle crisi di “imprese numerose che sono in procinto di chiudere perché hanno prodotti obsoleti, oppure perché applicano costi dei fattori produttivi troppo elevati”. Per l’economista “il processo di ricostruzione non avviene salvando l’impresa e rimettendola in piedi esattamente com’era, ma lavorando nell’intorno di questa impresa, creando attività economiche in grado eventualmente di riallocare il personale, ma anche di concentrare risorse verso le imprese più innovative”.
Infatti, sostiene Petretto, “spesso queste situazioni di crisi non riguardano i grandi poli, ma sono crisi regionali. La Toscana ha circa 70 situazioni di crisi costantemente monitorate. Alcuni elementi le rendono di difficile soluzione: innanzitutto il ritardo nella presa di coscienza da parte del management, che cerca di salvaguardare la propria posizione senza invece affrontare subito il problema. E poi il salvataggio, in quanto tale, non ha la caratteristica della distruzione creatrice, cioè quel balzo in avanti della tecnologia che consente di avere produzioni meno costose e più desiderate, più competitive nel mercato internazionale. In fondo, che cos’è un salvataggio? E’ un’innovazione organizzativa molto limitata: ci si accorda sul numero degli esuberi, si mette capitale, ma non c’è il salto in avanti dal punto di vista tecnologico”.
Politica industriale, le mancanze dell’Europa
Maurizio Bigazzi, presidente di Confindustria Toscana Centro e Costa, osserva che “la Toscana soffre, come tutte le regioni dell’Italia, ma direi dell’Europa, di una crisi industriale”. Il nodo energetico è indicato come componente decisiva: “Il costo dell’energia nel nostro paese è mediamente il 40% in più dei nostri competitor europei”. Bigazzi cita anche la concorrenza cinese, la mancanza di una politica industriale europea e la necessità di cercare nuovi mercati: “La Toscana soffre nella meccanica, soffriamo nell’automotive, soffriamo anche nella moda”.
Buti avverte che “c’è un problema di resilienza economica, di innovazione, di produttività” e che senza una strategia di reindustrializzazione i paesi europei “difficilmente potranno prosperare in questo mondo a somma zero”. Secondo Pier Carlo Padoan, presidente di Unicredit ed ex ministro dell’economia, l’arrivo dell’Ia offre una “grande opportunità” ma richiede investimenti adeguati: “Bisogna avere leadership, bisogna avere organizzazione, bisogna avere visione”. I principali ostacoli sono attribuiti “alla burocratizzazione, alla lentezza della pubblica amministrazione” e alle “resistenze nazionali” che emergono in Europa.
Lucia Aleotti, vicepresidente di Confindustria e membro del board Menarini, definisce “un elemento che ci deve preoccupare” la deindustrializzazione toscana, osservando che l’occupazione manifatturiera ha salari più alti e quindi un impatto diretto sul reddito regionale. Per Aleotti è necessario affrontare il tema con “una leadership forte e riconosciuta”. Dal lato europeo chiede “un’accelerazione incredibile di modifica di norme” e “focalizzazione assoluta su un elemento unico, cioè industria al centro”.
La situazione Toscana: crisi di un modello
La Toscana rappresenta per gli economisti una regione “media”, quintessenza delle virtù e dei vizi del modello italiano. La dinamica di lungo periodo del Pil colloca la Toscana in un’area intermedia del quadro nazionale: nel periodo 1995-2023 la crescita si attesta intorno all’1% annuo, inferiore ai ritmi di Lombardia e Trentino ma superiore a quelli delle regioni più deboli del Mezzogiorno. Nei tre sottoperiodi considerati il tasso di crescita oscilla tra valori lievemente positivi e prossimi allo zero, delineando una stagnazione strutturale.
Il rallentamento del manifatturiero nazionale, con indici di produzione scesi dai valori superiori a 110 dei primi anni Duemila a livelli prossimi o inferiori a 100 nell’ultimo decennio, si riflette sulla Toscana. Il territorio registra infatti una deindustrializzazione relativa prima e assoluta poi, che riduce il contributo dell’industria al Pil e apre una frattura tra settori ad alta e bassa produttività.
L’occupazione complessiva cresce del 16% fra 1995 e 2008, ma resta sostanzialmente ferma tra 2008 e 2022 (0,3%). Il dato aggregato maschera però dinamiche molto diverse: i comparti labour intensive a bassi salari aumentano del 17,5% nella prima fase e di un ulteriore 6,6% nella seconda, raggiungendo un +20,1% complessivo. I settori capital intensive con alti salari, invece, dopo un incremento del 7,2% fino al 2008 registrano un calo del 14,7% nella fase successiva, con un saldo negativo del 9,4% sull’intero arco temporale. Nel complesso, la quota degli occupati in attività capital intensive ad alti salari scende dal 23,7% del 1995 al 18,6% del 2022, mentre i lavori labour intensive a bassi salari superano il 60% dell’occupazione.
La trappola dell’occupazione nei servizi
La specializzazione terziaria conferma una polarizzazione crescente. Commercio e turismo (alloggio e ristorazione) registrano aumenti molto elevati, rispettivamente oltre il 60% e il 260%. Al contrario, arretrano i segmenti più avanzati del terziario: informazione e comunicazione, trasporto e magazzinaggio, attività finanziarie e assicurative, servizi di supporto alle imprese. Crescono invece le attività professionali e i servizi legati all’intrattenimento.
Gli ordini di grandezza delineano quella che viene definita una ‘trappola’ toscana: molta occupazione in servizi a bassa produttività, crescita limitata dell’occupazione complessiva (14,1% in quasi trent’anni), riduzione dei segmenti industriali ad alto valore aggiunto. Da qui l’insistenza su reindustrializzazione selettiva, economia circolare e sviluppo dei servizi avanzati come leve per modificare la composizione del valore aggiunto.