Hostage, l’azienda empolese di abbigliamento in tessuto controllata dai fratelli Azzurra e Giampaolo Morelli e da Martino Mazzoni che produce per i grandi marchi del lusso, assume 53 lavoratori cinesi che finora erano impiegati in laboratori esterni di Empoli, e apre così la strada a un nuovo modello di trasparenza e legalità della filiera, un tema sempre più sentito dal settore soprattutto dopo i casi di sfruttamento del lavoro contestati dal Tribunale di Milano ad alcuni brand (Alviero Martini, Giorgio Armani, Dior e Valentino Bags) che utilizzavano laboratori cinesi situati in Lombardia nella catena di fornitura.
Obiettivo: andare incontro alle richieste dei brand
“Siamo andati incontro alle richieste dei brand”, spiega Azzurra Morelli. “Abbiamo iniziato l’internalizzazione della filiera due anni fa con PelleModa, la nostra azienda di abbigliamento in pelle che ha acquisito lo storico laboratorio Second Skin di Orvieto – aggiunge – poi quest’anno abbiamo fatto la stessa cosa con Hostage, assumendo prima 23 persone che già lavoravano per noi in laboratori esterni empolesi, e poi un ‘gruppo’ (cioè un’azienda, ndr) di 30 persone che lavora per noi da anni”. In tutto sono 53 addetti al campionario e alla cucitura, tutti cinesi, un investimento che per l’azienda, parte della holding familiare Morelli, si avvicina a 300mila euro all’anno.

Internalizzazione della filiera unico modo per proteggere il know how italiano
“Così abbiamo creato una linea di produzione all’interno dell’azienda – spiega Azzurra Morelli – strutturandoci come le confezioni anni Settanta e Ottanta, un modello che si era un po’ perso per strada, anche per questioni legate ai costi”. La scelta di comprimere la flessibilità in nome del controllo diretto della produzione ha una motivazione chiara: “In questo modo diamo garanzie di affidabilità ai brand che altrimenti sarebbe difficile dare – spiega Morelli riferendosi sia alla qualità dei capi che alla trasparenza dei processi di produzione – anche perché ci sono maison che cominciano a richiedere proprio la produzione interna. L’internalizzazione della filiera è l’unico modo che abbiamo per proteggere il know how che abbiamo in Italia”. Ed è anche il modo per acquisire un vantaggio competitivo e assicurarsi le commesse costanti da parte dei brand che cercano etica e legalità, spiega Morelli. In pratica, è un fattore attrattivo e competitivo.
E’ stato necessario far cambiare mentalità ai lavoratori
L’operazione non è stata semplice. “C’è voluta un’opera di comunicazione capillare e di persuasione: oltre a convincere il titolare del laboratorio, abbiamo dovuto convincere i dipendenti a cambiare mentalità e cultura. Non è facile, ci vuole fiducia reciproca”. I rapporti lavorativi instaurati da tempo sono serviti da collante.
Fino al 2024 tutti i capi Hostage erano fatti in laboratori esterni
Hostage (127 dipendenti) prevede di fatturare circa 25 milioni di euro nel 2025 con 120-150mila capi prodotti. Grazie a questa operazione, la produzione interna raggiungerà il 30%. Fino al 2024 tutto era cucito tutto in laboratori esterni, mentre all’interno erano concentrate le funzioni di ricerca, sviluppo e modelleria. “E’ un cambio di organizzazione, di anima dell’azienda, di governance – spiega Morelli – in questo modo anche Hostage diventa un’azienda strutturata com’è Pellemoda”.
Nel 2024 fatturato a 83 milioni di euro
Il gruppo Holding Morelli nel 2024 ha fatturato 83 milioni di euro, appena sotto l’anno precedente (86 milioni) in una fase di forte rallentamento del sistema moda. “Non era scontato, lo dico con grande soddisfazione: l’impegno ci ha premiato”, sottolinea Azzurra Morelli. Ora il gruppo continua a investire in sostenibilità (Hostage ha appena ottenuto la certificazione Iso 14001 per la gestione ambientale) e in formazione.
Cosa serve per la trasparenza della filiera
“Per la trasparenza della filiera servono aggregazioni, collaborazioni, partnership anche impensabili e innovative – conclude Azzurra Morelli – e poi occorre essere sempre pronti a investire sulla formazione perché internalizzando la filiera abbiamo risolto un problema temporaneo: se non avremo il ricambio di giovani che vivono sul territorio perderemo il nostro know how, dobbiamo continuare a investire e su questo terreno ci dovrebbero essere aiuti dello Stato”.
Silvia Pieraccini