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22 gennaio 2025

Il futuro della Venator di Scarlino passa dal tavolo di crisi regionale

Un’eccellenza nella produzione di biossido di titanio, la Cig che interessa i 210 dipendenti è in scadenza il 31 gennaio.

Carlo Pellegrino
Venator di Scarlino.

Venator di Scarlino.

Con l’apertura del tavolo di crisi regionale, prevista per giovedì 23 gennaio, inizia un nuovo capitolo nella vicenda Venator. L’azienda situata nel polo industriale al Casone di Scarlino, zona nord della provincia di Grosseto, rappresentava un’eccellenza nella produzione di biossido di titanio, materiale largamente diffuso nell’industria: dalle vernici agli inchiostri, dal settore farmaceutico a quello alimentare, solo per citare alcuni esempi. Da circa un anno e mezzo l’industria è fuori dalla produzione e la cassa integrazione che interessa i 210 dipendenti, in scadenza il 31 gennaio, non potrà essere rinnovata.

Lo stabilimento di Scarlino attivo dal 1972

Lo stabilimento di Scarlino, attivo dal 1972, era diventato un punto di riferimento per la stessa Venator, “produttore e distributore globale di prodotti chimici comprendenti un’ampia gamma di pigmenti e additivi”. Con sede a Wynyard, nel Regno Unito, Venator impiega circa 2.800 dipendenti e vende i suoi prodotti in più di 110 Paesi. Venator Italy Srl è l’unico produttore in Italia: è arrivato ad avere 300 lavoratori, oltre ad altrettanti nell’indotto, per un fatturato che ha raggiunto negli anni migliori i 350 milioni. I composti Venator, marchio registrato, Rutilit sono utilizzati “per la manutenzione preventiva o la riparazione urgente degli altiforni impiegati nella produzione di metalli come il ferro e l’acciaio, per ridurre la porosità dei materiali di rifacimento, nelle argille da rubinetto per aumentare la resistenza termica e chimica e ridurre l’erosione e anche nei forni elettrici ad arco per proteggere gli elettrodi e le pareti del forno”.

Tre anni fa la tempesta perfetta

In un mercato complesso Venator Italy era sempre riuscita a superare brillantemente i momenti di difficoltà. Fino alla tempesta perfetta, che si è affacciata all’orizzonte circa tre anni fa. Le difficoltà legate alla riduzione generale della domanda di biossido di titanio, con la guerra in Ucraina e l’aumento dei costi di produzione per un’industria energivora, sono state drammaticamente aggravati dal dumping dei produttori cinesi che, favoriti da aiuti di Stato, hanno messo in commercio i competitor del vecchio continente con prodotti a un prezzo stracciato. Questo ha portato a dazi temporanei dell’Unione Europea nei confronti delle industrie asiatiche, diventanti poi permanenti, ma intanto le quote di mercato dei produttori europei si sono contratte. Avrebbe potuto la Venator di Scarlino superare questa crisi? Considerando la sua resilienza e la qualità dei prodotti probabilmente sì, ma a infliggerle un colpo pesantissimo è arrivata anche la questione ambientale.

Le proteste degli ambientalisti

La materia prima ferrosa dalla quale si produce il biossido di titanio, in Venator Italy, veniva trattata con l’acido solforico prodotto nella vicina Solmine. Il refluo acido, un liquido che contiene molti minerali, era abbattuto attraverso il carbonato di calcio, generalmente ricavato dalla cosiddetta marmettola, una polvere derivante dalla lavorazione del marmo di Carrara. In questo processo lo zolfo che veniva espulso portava alla colorazione della marmettola, creando i gessi rossi. Per almeno vent’anni, tra il 1995 e il 2015, questo procedimento è stato diffusamente apprezzato come un esempio di economia circolare che permetteva di ottimizzare lo smaltimento per la lavorazione di due prodotti.  Non senza qualche criticità relativa allo stoccaggio dei rifiuti: una tonnellata di biossido di titanio, infatti, dà origine a circa cinque tonnellate di gessi rossi. Le proteste ambientaliste sullo stoccaggio sono poi sfociate nell’azione della commissione sulle ecomafie secondo la quale questi scarti potevano avere componenti cancerogeni (un’indagine che al momento, va detto, non ha avuto riscontri). Il blocco dello stoccaggio ha portato, ormai un paio di anni fa, allo stop della produzione per Venator e alla conseguente cassa integrazione per i dipendenti che nel frattempo sono scesi sotto le 210 unità.

La situazione attuale

L’impianto è rimasto aperto per attività di manutenzione e di sicurezza, impiegando poche decine di lavoratori. Senza produrre si sono progressivamente erose le risorse dell’azienda. Della crisi si è parlato in un partecipato incontro organizzato il 17 gennaio scorso a Gavorrano dalla Filctem Cgil, in cui si confrontati sindacati, politici, Confindustria e imprenditori del territorio. L’amministratore delegato di Venator Italy, Stefano Neri, ha ripercorso le difficoltà ammettendo anche gli errori compiuti dall’azienda aprendo però a nuove prospettive di rilancio visto il via libera concesso dalla Regione Toscana, il 19 novembre, per lo stoccaggio dei gessi rossi. L’autorizzazione nell’area ex bacini fanghi per sette anni prevede anche la messa in sicurezza permanente della zona.

L’incontro organizzato a Gavorrano dalla  Filctem Cgil.

Il Comune di Scarlino riserva ovviamente massima attenzione alla vicenda, con proposte che sono emerse nel consiglio comunale aperto del 31 dicembre al quale hanno partecipato la Provincia di Grosseto e i Comuni di Gavorrano, Follonica, Massa Marittima, Montieri, Monterotondo e Roccastrada, insieme ai sindacati e a Confindustria.

Il consiglio comunale aperto del Comune di Scarlino.

Le prospettive future

L’assessore regionale all’economia Leonardo Marras ha seguito a lungo la situazione di Venator, un’azienda che da maremmano conosce da decenni. “Il tavolo di crisi regionale – afferma – permetterà l’attivazione del tavolo di crisi nazionale, la sede istituzionale nella quale valutare la firma del contratto di solidarietà. Con la scadenza della cassa integrazione è questo lo strumento di politiche difensive che abbiamo a disposizione per salvaguardare i lavoratori, ciò che ovviamente rappresenta la priorità, e scongiurare il rischio che l’impianto non si spenga del tutto”.

Un primo passo necessario, ma ovviamente non sufficiente: “Questo permetterà di andare avanti qualche mese – aggiunge Marras – in attesa che dal gruppo arrivino dei segnali positivi. Il problema dello stoccaggio dei gessi rossi è stato superato con l’autorizzazione della Regione Toscana, è chiaro che dall’azienda adesso ci aspettiamo chiarezza e azioni concrete, come la predisposizione della discarica”.

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Carlo Pellegrino

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