La filiera toscana della pelle – uno dei settori trainanti dell’economia regionale che nel 2019 valeva otto miliardi di euro di export – prova a ripartire dalle fiere milanesi del settore e, dopo Lineapelle (concia) che si è tenuta a fine febbraio, ora si mette in mostra al Mipel (borse) e al Micam (scarpe), in programma fino al 15 marzo a Fieramilano-Rho.
Guerra e aumento dei costi aziendali sulla strada della ripresa
Il momento è delicato, soprattutto per le piccole e medie aziende. Sull’andamento post-pandemia pesano sia il conflitto in Ucraina che gli aumenti dei costi di logistica, energia e materie prime, già in atto prima che scoppiasse la guerra. Per questo le previsioni sul 2022 sono difficili, dopo un 2021 in cui era stato avviato il recupero.
Se la filiera della pelle toscana (concia-pelletteria-calzature) l’anno scorso ha segnato +30,7% rispetto al 2020, è anche vero che i livelli pre-Covid non sono ancora stati raggiunti. In particolare soffrono la concia di Santa Croce sull’Arno (-18,6% l’export dei primi nove mesi 2021 rispetto allo stesso periodo 2019), la pelletteria di Firenze (-4%) e quella di Arezzo (-37,8%), fino alle scarpe di Lucca (-37,3%) e Lamporecchio (-48,3%).
L’incognita dell’export in Russia
Assopellettieri, l’associazione che riunisce le aziende di pelletteria, ha già messo in guardia: “Dopo due anni spesi a ricostruire quanto eroso dalla pandemia, la pelletteria toscana si trova a fare i conti con un nuovo momento di incertezza. Due sono i problemi: il plausibile crollo dell’export; l’aumento dei costi delle materie prime”. A preoccupare non è tanto l’export diretto in Russia, poco rilevante per la pelletteria, quanto la crisi che colpirà la fascia orientale del Nord Europa.
L’export diretto in Russia (e in Ucraina) preoccupa invece Assocalzaturifici, vista l’importanza (storica) del Paese di sbocco, 13esimo per i produttori toscani di scarpe che hanno come prime destinazioni Svizzera, Usa, Francia, Paesi Bassi e Germania. Nel 2021 in Toscana le vendite oltreconfine di calzature e componentistica hanno raggiunto i 2,5 miliardi di euro (+27,2% rispetto all’anno precedente e +0,8% sui livelli pre-pandemia del 2019), ma con un indebolimento della struttura produttiva: le imprese attive (tra calzaturifici e produttori di parti) sono scese di 65 unità (dati Infocamere-Movimprese), mentre gli addetti sono calati di 624 unità. La Toscana, insieme con le Marche, è la regione che risulta avere la contrazione produttiva (aziende e addetti) maggiore.
Il calzaturiero perde (ancora) pezzi
Nel 2021 le ore di cassa integrazione autorizzate dall’Inps per il settore calzaturiero sono scese del 27,6% rispetto al 2020 ma sono rimaste su livelli elevati: 17,6 milioni di ore (erano 600mila nel 2019). L’area più votata all’export di scarpe è Firenze (che copre l’82% del totale, secondo i dati Assocalzaturifici), che è l’unica ad aver già superato i livelli preCovid (+14,6% sul 2019), mentre Pistoia, Lucca, Pisa e Arezzo restano molto al di sotto dei livelli pre-pandemia. “La ripresa è a macchia di leopardo e spesso ancora insufficiente nel ritmo – afferma il presidente di Assocalzaturifici, Siro Badon -. I grandi gruppi internazionali del lusso hanno ripreso a correre, trainando le vendite estere del settore, ma molte aziende piccole e medie non ce l’hanno fatta a superare lo shock della crisi e numerose sono in difficoltà, come mostra il ricorso agli ammortizzatori sociali”.
Silvia Pieraccini